La città di Khajuraho è una tappa obbligata per tutti i viaggiatori nel nord dell’India.
Vi si trova infatti un’area archeologica  di indubbio interesse storico artistico, con i famosi templi che raffigurano, con statue finemente scolpite, le posizioni del kamasutra.
La Khajuraho che vogliamo però raccontarvi, è quella dei suoi abitanti e delle loro case. Quella che sfugge ai turisti organizzati…

Sudesh è un giovane ragazzo indiano che lavora come guida turistica e che ci ha accompagnati per qualche centinaio di chilometri di Rajastan e che ci ha permesso di condividere una cerimonia religiosa notturna a Orcha.

Un tempio nella jungla brulicante di insetti. Sia la jungla, sia il pavimento del tempio, dove si entra scalzi. Musiche e canti ipnotici, riti sacri a noi incomprensibili, mantra ripetuti cantilenando. Non è difficile farsi trasportare dalla grande partecipazione emotiva e, di conseguenza, riempiamo Sudesh di domande. Sull’India, sulla religione, sulla spiritualità…

Sudesh apprezza la nostra curiosità e la sera successiva ci invita a cena a casa sua, a Khajuraho.

A Casa di Sudesh

E’ fortunato perché il suo lavoro gli ha consentito di comprare una casa in muratura. Si tratta di una sola stanza, dove trova posto un letto matrimoniale che è anche divano, sedie, poltrona e tavola. Un armadio rosa con le porte scorrevoli, che contiene vestiti, scarpe, piatti e posate, e un’anta piena dei sari colorati della moglie. Davanti a noi un basso tavolino di legno e vetro. Due sedie.

In un angolo, un fornello da campeggio a tre fuochi e una bombola di gas. Un rubinetto di acqua non potabile. Quella da bere si prende al pozzo. Le pentole, appoggiate sul pavimento.

Ci accomodiamo sul letto, mentre la sorella prepara i vassoi della nostra cena. Una zuppa piccante di patate e curry; un’altra zuppa di patate, carne e pomodoro; melanzane a tocchetti abbondantemente speziate; pomodori e cipolla crudi e chapati cotto sul fuoco vivo.

La cena!

Anche nelle case indiane, in segno di rispetto, si entra scalzi. Sul pavimento passeggiano indisturbate qualche fila di formiche, coleotteri di vario genere, qualche scarafaggio…finchè…

…”Sudesh…ma quello è un topo?!?!?!”
“Si, certo. Qualche volte viene il topo a casa…”

Ovvio! Sciocchi noi a stupirci…

…e nel frattempo il roditore curioso , passeggiando sotto le nostre gambe, si va ad infilare tra le pentole che hanno ospitato le nostre zuppe…!!

La cena “con imprevisto” è stata veramente deliziosa, sia per la bontà del cibo, sia per la generosità dell’aver voluto condividere con noi i loro piccoli spazi. Il finale della serata ha assunto una piega goliardica quando hanno insistito per faci indossare un meraviglioso sari azzurro (a Veronica) e un vestito da sposo con turbante dall’effetto decisamente meno affascinante (ad Andrea) per inscenare un matrimonio indiano…

Il nostro matrimonio indiano!

E’ l’India che nessun tour operator inserisce nei cataloghi.  Quella più autentica.

Conosciamo un ragazzo che sta studiando medicina. Il suo sogno è diventare medico per curare i bambini. Parla sette lingue. Ci chiede se vogliamo vedere il villaggio di Khajuraho. In cambio ci chiede di portare le saponette, gli shampoo e i bagnoschiuma dell’albergo. Fissiamo un appuntamento per il giorno seguente e ci lasciamo accompagnare in fondo alla via principale, quella che porta all’ingresso dei templi, ma dal lato opposto.

L’altra Khajuraho

Entriamo nel nucleo più vecchio del villaggio. Il quartiere è diviso nettamente in quattro zone distinte: una per ogni casta. Le strette vie interne sono in terra battuta o, al massimo, ricoperte da lastroni in cemento. Ogni tanto i bambini approfittano di una fontanella che zampilla acqua, per una rapida doccia. Nella zona della casta più ricca, c’è il pozzo dove gli abitanti possono calare la corda con il secchio.

Sui muri delle case notiamo alcuni numeri e sigle, dipinti direttamente sull’ingresso di casa. Ci spiegano che non esiste un programma sanitario per i bambini. Ogni tanto passa qualche infermiere, per lo più volontari, per vaccinare i bambini di qualsiasi età. L’unico modo per tenere traccia del tipo di vaccino somministrato e della data, è dipingerlo sul muro di casa. Così, il prossimo infermiere che passerà avrà idea di cosa è stato fatto e di cosa ancora manca.  E’ un sistema geniale per un paese dal sistema anagrafico così precario che se si chiede quanti abitanti ha una città, la più comune delle risposte è “almeno qualche milione”.

Nel corso della passeggiata per il villaggio entriamo in una stanza adibita a scuola. Ci sono una dozzina di bambini seduti per terra, su lunghe listelle di tessuto strappate. I maestri sono volontari e operano come riescono, senza strutture, senza fondi ma con la sola forza di volontà e l’amore per i più piccoli.

Usciamo dal villaggio con l’immagine dei bambini che ridono, rivedendosi nel piccolo schermo della nostra telecamera.

Il giorno seguente lasciamo Khajuraho con la fortuna di avere negli occhi non solo i magnifici templi, ma anche un piccolo frammento di vita vera.

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